L'arte di strisciare
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Per una parola di verità e di scuse ai lettori del "Giornale"

Società Pannunzio

29.03.2010 –  

Lettori LETTERA INVIATA DALLA SOCIETÀ PANNUNZIO AL DIRETTORE DE "IL GIORNALE", VITTORIO FELTRI.


All’attenzione del Direttore de “il Giornale”
Vittorio Feltri


Roma 28 marzo 2010

 

Egregio direttore,

ho letto l’appassionato appello su 9 colonne di Luigi Mascheroni in favore della libertà di stampa offesa dalla sanzione da noi sollecitata e poi comminata contro di te dall’Ordine dei giornalisti della Lombardia. Sono d’accordo quando scrive che «i principi morali e il grado di democrazia di un popolo sono direttamente proporzionali al numero dei suoi giornali e alla qualità dei giornalisti». E ancora: «più giornali ci sono... e più alto è il livello civile e politico del paese». Parole sacrosante. Aggiungerei per completezza che a maggior ragione sono fondamentali il pluralismo e lo spirito concorrenziale degli editori. Ammetterai che su questo punto la situazione va maluccio. Anzi direi che, se il padrone dell’informazione televisiva si riduce a uno, «il grado di democrazia di un popolo», come scrive Mascheroni , si azzera del tutto. E non certo per colpa della Ferilli o di Marcorè, ma di quel solo padrone e di chi ha tollerato o si è reso complice di tale situazione.

Ti prego di avvisare Mascheroni che sta scrivendo su un quotidiano, il Giornale, che nell'uscire in edicola ogni giorno, ogni giorno viola nella sostanza la legge Mammì che, concedendo parecchi privilegi a Berlusconi, gli imponeva di rinunciare alla “carta stampata”, sulla base del giusto principio separatista tra tv e giornali. Prescrizione – come sai – subito aggirata da una vendita a un prestanome di famiglia. Il che non sta bene. È un mezzuccio che non fa onore a un paladino della libertà d’informazione come Berlusconi: perché Mascheroni non ha mai «urlato il suo sdegno»? Dopotutto dovrebbe creare un po' di disagio stendere appelli così nobili su un quotidiano semi-illegale.

Già che ci sei, tranquillizza il tuo collaboratore: tu potrai sempre esprimere anche per iscritto le tue idee, e senza neppure scomodare i paroloni attribuiti (erroneamente) a Voltaire. Ma nello stesso tempo rimproveragli un’eccessiva generosità nei tuoi confronti. Digli che il tuo non è stato un «errore» (quanti ne fanno i giornalisti!), ma una vera e propria frode nei confronti dei lettori del Giornale. Non è giusto che gli «errori» si paghino, al massimo si devono correggere, è giusto invece che siano sanzionate le scelte (assunte in piena consapevolezza) contro la deontologia professionale. Soprattutto se proprio su quelle scelte si appoggia una campagna di stampa senza precedenti che massacra una persona, fa aumentare le vendite e produce risultati politici non irrilevanti.

Noi della Società Pannunzio, presentando l’esposto contro di te all’Ordine abbiamo pensato non a Boffo, che aveva tutti i mezzi anche legali per difendersi, ma ai tuoi lettori che di quella frode non sono stati mai informati (al massimo hanno saputo in un pagina interna e con l’indicazione sbagliata della girata che l’informativa era inesatta, non che non fosse un documento giudiziario come l’avevi presentato tu per attribuirgli un'autorevolezza che non aveva). Una parola di verità e di scuse forse li avrebbero ricompensati di un mesetto di bugie.

Cordialmente

Enzo Marzo,
Portavoce della Società Pannunzio per la libertà d'informazione


IL DIRETTORE DE "IL GIORNALE", VITTORIO FELTRI, NON HA PUBBLICATO NE' QUESTA LETTERA NE' ALCUNA PRECISAZIONE.

 

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Il silenzio dei paladini della libertà

di Luigi Mascheroni

Lo scorso ottobre per due querele a Repubblica la Fnsi riempì le piazze in difesa del diritto di informare. Oggi che al direttore del Giornale viene impedito di lavorare per sei mesi il sindacato dei giornalisti tace. Caso Boffo, Avvenire: "Ancora parole gravi". Feltri: "Solo dati di fatto"


I princìpi morali e il grado di democrazia di un popolo sono direttamente proporzionali al numero dei suoi giornali e alla qualità dei suoi giornalisti. Più giornali e migliori giornalisti ci sono, maggiore è il numero di notizie, idee e opinioni che circolano. E più alto è il livello civile e politico del Paese. Ecco perché ogni volta che a un giornalista è impedito di fare il proprio mestiere, a perderci non è quel giornalista ma il Paese. Che non ha bisogno di eroi, grazie a Dio, ma solo di buoni professionisti. E meglio ancora se scomodi.
L’Ordine dei giornalisti venerdì ha sospeso lo scomodo direttore di questo giornale per le vicende legate al caso Boffo. Proibendogli per sei mesi di lavorare. Cioè di portare notizie, idee, opinioni. Più che una punizione, un’intimidazione a non fare l’unica cosa per cui i giornalisti esistono e per cui sono pagati: scrivere. E intanto, tutt’intorno, si ode solo silenzio. Il silenzio dei paladini della libertà di informazione.
Ehi, paladini della libertà: dove siete? C’è un giornalista che è stato messo a tacere, e voi che fate? Non dite niente? Non scendete in piazza? La democrazia e la libertà di espressione sono di nuovo in pericolo. Dove siete finiti, voi sempre pronti a manifestare a difesa della stampa minacciata dal Potere?
Lo scorso ottobre siete accorsi in trecentomila per protestare contro chi «voleva zittire Repubblica e l’Unità». Allora sbrigatevi, preparate bandiere e striscioni, c’è una nuova emergenza. Il bavaglio lo vogliono mettere a un altro giornale. Ci sarete ancora tutti, vero? Ci sarai, vero, Roberto Saviano, ci sarete emeriti presidenti della Corte costituzionale, ci sarete Sabrina Ferilli e Neri Marcorè? Ma certo che ci saranno. Come ci sarà Reporter sans Frontieres, quelli che ripetono che l’Italia è a rischio regime, come ci sarà la Cgil, la Fim-Cisl, le Acli, Libera, Legambiente e l’Arci che verrà con le bandiere listate a lutto «Per la morte della libertà d’informazione», come ha fatto l’ultima volta, quando si minacciava Repubblica. E poi ci saranno le Associazioni partigiane, la Società Pannunzio per la libera informazione, e la satira militante come Vauro, Sabina Guzzanti, Paola Cortellesi e le redazioni di Report, Ballarò, Annozero, L’infedele e persino quelli di Caterpillar che organizzeranno un grande concerto per concludere in bellezza una giornata dedicata alla libertà. La loro.
E la nostra, chi la difende? Perché le vestali della democrazia non s’indignano questa volta? Perché non urlano il loro sdegno? Dicono che il Giornale ha commesso un errore: nel caso Boffo ha attribuito valore ufficiale a un’informativa che ufficiale non era (anche se - attenzione - la notizia era e resta vera). E quindi gli errori è giusto che si paghino, dicono. Invece Repubblica...
Invece Repubblica commette gli stessi errori, o peggio. Ma tutto tace. La settimana scorsa il Presidente della Repubblica Napolitano ha dovuto smentire per ben due volte con una nota ufficiale il quotidiano di Ezio Mauro che prima gli attribuiva la volontà di non firmare il decreto sull’articolo 18, e poi sosteneva che avesse interrotto una cena durante il suo viaggio di Stato in Siria per via dei commenti di Berlusconi sull’inchiesta di Trani. E questi sono errori, non opinioni. Del resto risale a qualche giorno fa il mea culpa di Repubblica per un’inchiesta - con «notizie errate e non riscontrate» come ha dovuto ammettere il quotidiano - in cui si dava per vero che l’oligarca Roman Abramovich avesse perso a poker uno yacht, compromettendo anche il rapporto con la sua compagna. «Siamo spiacenti per qualsiasi disagio o imbarazzo causato da tale articolo», si sono scusati i colleghi di Repubblica. I quali, invece, sono stati zitti, tre settimane fa, quando Luca Ricolfi sulla Stampa ha sonoramente smentito Eugenio Scalfari il quale, in un editoriale, l’aveva accusato di essersi venduto al potere berlusconiano perché critico con il sistema delle intercettazioni. Ricolfi ha fatto notare che il fondatore di Repubblica gli ha attribuito - mettendole fra virgolette! - frasi che lui non ha mai scritto, chiedendosi: «Scalfari inventa di sana pianta. Sono senza parole. È questa la professione giornalistica?».
È questa la professione giornalistica, ci chiediamo, quando Giuseppe D’Avanzo ripete per ben due volte, nonostante una pubblica smentita, false e infamanti informazioni su Luisa Todini, alla guida di una società che opera nel settore delle grandi infrastrutture. Ed è questa la professione giornalistica, ci chiediamo, quando vediamo Repubblica anticipare, sfruttando una fuga di notizie, la sentenza di sospensione comminata a Feltri aggiungendoci, in sovrapprezzo, anche una sanzione inesistente: quella per gli articoli «a luci rosse» su Gianfranco Fini. Domande inutili. È il «metodo Scalfari». Ossia: la libertà di far finta di niente, o di inventarsi le cose.
Per fortuna ci sono i paladini della libertà d’informazione.

 

[da "il Giornale" del 28 marzo 2010, pag. 11]


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